Il racconto del mese di Dicembre è scritto da due figlie di una paziente Fronto Temporale, un racconto intenso e pieno di dettagli.
Speriamo possa esservi utile a sentirvi meno soli e a continuare con intraprendenza la nostra lotta quotidiana.
Storia 2
Un’amara verità
Era l’estate del lontano 1989.
Tornando dalle vacanze, tutto avremmo potuto immaginare tranne quello che ci aspettava.
La mamma, allora cinquantaseienne, non era più la stessa:
da persona attiva ed indifferente alla TV, era diventata perennemente dipendente dall’apparecchio televisivo, convinta che ogni programma avesse come soggetto lei e la sua famiglia.
La nostra reazione è stata di grande stupore, ma abbiamo attribuito il motivo al breve periodo vissuto in casa da sola per molte ore.
Nel volgere di pochi giorni, però, la situazione è precipitata.
Una mattina ha schiacciato i pomodori sulla rampa del garage e, ritenendo che la frutta e la verdura fossero avvelenate, è andata a mettere in guardia le clienti del fruttivendolo ambulante perché non facessero acquisti.
Successivamente si è convinta di essere seguita da spie e per questo, per ben due anni, è rimasta chiusa in casa e tentava di proibire anche al papà di recarsi al lavoro, giungendo persino a richiedere l’intervento telefonico dei carabinieri affinché lo convincessero.
Non stiamo ad elencare i numerosi episodi che rendevano la vita familiare difficile sia di giorno che di notte.
Era letteralmente in preda ad allucinazioni uditive.
Alle voci che la costringevano a chiudersi in casa per paura,
si aggiungevano quelle che:
– la costringevano a sbrigare ripetutamente le faccende
domestiche di vario genere, anche di notte;
– la obbligavano a nascondersi mentre mangiava per non
essere spiata dal televisore;
– la obbligavano, chissà per quale ragione, ad infliggersi punizioni come stare in piedi al buio in bagno;
– le imponevano di impacchettare arredi o biancheria per
regalarli ai parenti, salvo subito dopo farle rimettere tutto a posto;
– (solo in due o tre casi fortunatamente) le hanno detto di
convincerci ad andare a buttarci nel lago con lei. Visto un precedente caso di suicidio in famiglia (da parte di sua zia che è stata per lei anche “matrigna” fin dalla più tenera età), la nostra preoccupazione era costante, perciò la seguivamo in ogni suo movimento.
Ovviamente in quest’ultimo caso le voci non hanno avuto la
meglio.
Per il resto, contrastare la mamma mentre era in preda alle
allucinazioni era una battaglia persa in partenza.
Quando invece la lasciavano tranquilla, era perfettamente lucida e in pieno possesso delle sue facoltà, tanto da essere in grado di ricordare e spiegare ciò che le era successo.
Nel corso dei due lunghi anni, ripetutamente abbiamo informato il medico di base e chiesto aiuto, ma costei, non avendola mai vista in questo stato, non credeva alle nostre parole.
Stanche, esasperate, per non dire disperate, un giorno abbiamo imposto alla dottoressa di venire a casa a visitarla.
Vedendola coi capelli lunghissimi (non andava più nemmeno dalla parrucchiera), fortunatamente ci ha creduto. Solo allora ci ha informato che c’era la possibilità di far venire a casa uno psichiatra che lei stessa avrebbe provveduto a presentare alla mamma come un suo collega.
Finalmente non eravamo più soli!
Lo specialista, in modo simpatico, ha stabilito con lei un rapporto di empatia. Guadagnando lentamente la sua fiducia è riuscito a convincerla ad una prima uscita da casa, alla quale ne sono seguite pian piano delle altre.
Indispensabile naturalmente è stato il supporto dei farmaci di cui ha fatto uso per 15 anni.
Al termine di questo periodo è stata considerata “guarita”.
Purtroppo però a questo punto è iniziata una seconda fase:
sospese le cure ha iniziato a tremare e subito le è stato diagnosticato il Morbo di Parkinson. Strana coincidenza?
La notizia l’ha inevitabilmente sconvolta e spontaneamente si è rivolta al suo psichiatra, che l’ha indirizzata da una collega perché nel frattempo aveva assunto un altro incarico.
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