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Storie di Fronto Temporale 3

Storie di FTD

Storia di ftd

La Storia di oggi la riceviamo via email da Claudia, una giovane figlia che con le sue parole ci porta dritti dritti a ciò che la Fronto Temporale è. Le motivazioni che l’hanno portata a condividere la propria esperienza mettono i brividi e ci danno la forza, ancora una volta, di andare avanti e di non arrenderci.

Grazie Claudia!

Storia 3

L’AMORE PER UNA MADRE.

È iniziato tutto circa 5 anni fa, non ricordo di preciso quando, proprio perché questa malattia inizia in modo confuso e lentamente, giorno dopo giorno, porta via una piccola parte delle persone che ne vengono colpite. Finché un giorno ti svegli all’improvviso e pensi che sì, è successo proprio a te. Mia madre aveva 62 anni, quando, mentre eravamo a pranzo ci chiedeva di passarle qualcosa, senza riuscire a pronunciarne il nome. Nessuno dava peso a questi eventi, dopotutto sono cose che succedono. Quello che ricordo è che un giorno, mentre cucinava, non si ricordava più come fare un piatto che era solita preparare spesso e ricordo che mi venne a chiamare nella mia camera perché io la aiutassi. Nel chiedermelo era confusa, ce l’aveva con sé stessa perché non riusciva più nei piccoli gesti quotidiani. Quando parlava al telefono con qualcuno diceva spesso di non ricordarsi più nulla, ma ancora ne era cosciente e per questo ancora riconoscevo mia madre in lei. Non so neanche come, ad un certo punto, senza neanche accorgermene, mi sono ritrovata davanti una persona che non riconoscevo più. Inizialmente i medici avevano detto che poteva essere una forma di depressione, in quanto, da che era una persona che coltivava moltissimi interessi, era diventata svogliata, si era spenta quella luce che avevo sempre visto nei suoi occhi e che ora purtroppo faccio fatica a ricordare. Abbiamo deciso di portarla in cura in un centro della memoria per malattie neurologiche degenerative e dopo qualche tempo le hanno diagnosticato la demenza Fronto Temporale, patologia di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza. Quindi, dopo un periodo iniziale in cui non si vedevano segni evidenti della malattia, la situazione ha iniziato a degenerare in modo piuttosto veloce. Sembrava che mia madre fosse regredita, che tornasse indietro giorno dopo giorno. Ripeteva azioni in modo ossessivo, scandiva il suo tempo contando, aveva sempre di più lo sguardo assente, non era più cosciente di sé stessa come all’inizio, non riusciva più a trovare le parole, il suo vocabolario era ormai formato da due o tre termini, non riusciva più ad esprimersi, non mi comprendeva più quando tentavo di coinvolgerla raccontandole qualcosa che mi era successo, non riusciva più a ricordare e a pronunciare il mio nome. Negli ultimi tempi, appena provavamo a dirle qualsiasi tipo di cosa, si offendeva, iniziava a piangere, si chiudeva in sé stessa e alcune volte provava ad insultarci, e diceva che non voleva più prendere le medicine. Dentro casa non era più in grado di fare quello che aveva sempre fatto, in modo tra l’altro esemplare. Negli ultimi tempi non le permettevamo di uscire da sola, in quanto aveva perso il senso di orientamento.. l’ultima volta che ci abbiamo provato, non è riuscita a ritrovare la porta di casa. Mio padre l’ha ritrovata al portone del palazzo accanto, che discuteva con delle persone. Da quel momento non è più uscita da sola, né rimasta a casa senza di noi. Il 23 dicembre dello scorso anno mio padre l’ha accompagnata dall’otorino, in quanto iniziava ad avere problemi di deglutizione. Finito il controllo medico, l’ha portata a visitare san Pietro, per ricordarle che prima della malattia era una grande appassionata di architettura. Tornando alla macchina è inciampata ed è caduta, sbattendo la testa, per i problemi di equilibrio che aveva iniziato ad avere da un po’ di tempo. Non c’è stato nulla da fare, il suo cervello, ormai atrofizzato a causa della malattia, non è stato in grado di assorbire l’emorragia e il giorno di Natale ci ha lasciati. L’ultima cosa che ricordo è che in una delle ultime cene a casa, ho dovuto spiegarle come si utilizzavano la forchetta e il coltello per tagliare una fettina di carne.

Ho deciso di condividere la mia esperienza, evitando i dettagli più spiacevoli che fanno male solamente a ricordarli, perché ho intenzione di dare agli altri quello che io non ho avuto, ovvero la possibilità di confrontarmi con qualcuno che vivesse il mio stesso dramma e che si sentisse impotente e incapace di instaurare un rapporto diverso con il familiare malato. Perché è così che ti senti, senti la necessità di reinventare in rapporto con una persona che non è più la stessa, cercando di starle vicino in tutti i modi possibili, ma è la cosa più difficile del mondo. E solo chi c’è dentro in questo modo può riuscire a comprendere la frustrazione di non riuscire a fare abbastanza. Purtroppo, la sensazione di aver perso ogni ricordo di lei prima della malattia continua a perseguitarmi dopo 1 anno, ma forse un giorno tutti i suoi modi di fare ritorneranno limpidamente nella mia testa. Ad oggi, posso solo essere sollevata dal fatto che la malattia abbia avuto una fine, perché vivere in quel modo non è dignitoso, e sono sicura che mia madre penserebbe lo stesso. 
Claudia 28 anni